LA VINIFICAZIONE IN ROSSO

Il processo attraverso cui un mosto diviene vino è la fermentazione alcolica. Si tratta di una reazione chimica, promossa dai lieviti presenti naturalmente sulle uve mature, in cui gli zuccheri vengono convertiti in alcol etilico ed altri prodotti di reazione.

Durante tale trasformazione l’alcol etilico che si svolge è pari al 60% dello zucchero presente nel mosto. Ne deriva che un mosto con un grado zuccherino pari al 20%, al termine della fermentazione origina un vino contenente 120 ml/l di alcol etilico, ossia 12 gradi alcolici. I prodotti secondari della fermentazione (glicerina, diacetile, acido succinico, acido malico, acido acetico, aldeide acetica etc.) sono complessivamente pari al 5% degli zuccheri trasformati e sono molto importanti per il profumo ed il gusto del vino. La quota restante a 100 è rappresentata dall’anidride carbonica che si sviluppa copiosamente durante la fermentazione.

Il mosto, ottenuto dopo diraspapigiatura delle uve, rimane a contatto con le bucce e i vinaccioli (le vinacce) per un periodo di tempo variabile in funzione dell’effetto desiderato. Se la vinificazione viene fatta avvenire lasciando fermentare il mosto in presenza delle vinacce per un periodo di tempo relativamente lungo (7-15 giorni) si utilizza il termine “vinificazione con macerazione” o alternativamente si parla di “vinificazione in rosso”. Quest’ultima definizione si collega al fatto che le sostanze coloranti, presenti nelle bucce, vengono estratte nel tempo sfruttando l’azione solubilizzante dell’alcol che viene prodotto nel corso della fermentazione. Esistono al riguardo diverse tecniche utilizzate per migliorare il contatto delle vinacce, che tendono a galleggiare sul mosto formando il cosi detto “cappello”, con il mosto sottostante :

•     follatura: azione meccanica esercitata sul cappello per immergerlo nel mosto (normalmente effettuata dal vignaiolo due volte al giorno);

•     rimontaggio: innaffiamento del capello dall’alto con il mosto prelevato dal basso del tino e rilanciato verso l’alto per mezzo di una pompa per liquidi;

•     fermentazione a cappello sommerso: introduzione nel tino di fermentazione di un graticcio che ostacoli l’affioratura delle vinacce sulla superficie del mosto con la formazione di un cappello che resta immerso nel mosto.

Al termine della fermentazione il vino nuovo, torbido e ricco di anidride carbonica, viene separato dalle sue vinacce mediante un travaso che prende il nome di svinatura; il vino nuovo o “fiore” viene destinato a seconda dei casi verso tini in acciaio o botti in legno, mentre le vinacce vengono sottoposte alla torchiatura dalla quale si ottiene il vino torchiato. Il vino torchiato, meno nobile di quello ottenuto dalla svinatura, può essere o riunito con il vino “fiore” o utilizzato come prodotto finito di bassa qualità.

LA STORIA DEL VINO IN SICILIA

Primato che spetta ai Fenici l’aver introdotto la pregiata bevanda in tutto il Mediterraneo e, naturalmente, anche in Sicilia. Ma il ritrovamento di viti dette “ampelidi” scoperte alle falde dell’Etna e nell’Agrigentino, dimostrano la presenza della vite selvatica, facente parte della rigogliosa flora mediterranea, già nell’Era Terziaria.

Con l’arrivo dei Greci nell’Isola ( VIII sec. a.C.), la cultura enoica di questo grande popolo trovò terreno fertile in Sicilia. In 500 anni di permanenza nell’Isola, trascorsi in armonia con la gente del posto, trasformarono le abitudini dei Siciliani, che divennero veri esperti non solo nella coltivazione della vite, ma anche dell’olivo e del grano.

Sotto i Romani ( III sec. a.C. ), sebbene ristretta a poche zone, la coltura della vite era piuttosto importante: la Malvasia delle Eolie, il Pollio di Siracusa, il Mamertino di Messina venivano esportati ed apprezzati in tutto il mondo latino.

Nei primi secoli dopo l’avvento del Cristianesimo, molte terre della Sicilia passarono nelle mani della Chiesa, che continuò a sostenere la viticoltura. Con le invasioni barbariche ( V sec. d.C. ) si ebbe una battuta d’arresto nella produzione, ma l’arrivo del bizantino Belisario nel 535 d.C. permise ai Siciliani, anche se ancora per poco, di dedicarsi all’agricoltura.

Nell’827 gli invasori musulmani dell’Isola, uniformandosi al Corano, azzerarono la produzione di vino, senza mai però vietarla tanto che si incrementò la produzione di uve da tavola pregiate, come il Moscato d’Alessandria ( Zibibbo ) dell’isola di Pantelleria.

Con i Normanni giunti nell’isola nel 1061, la Sicilia vitivinicola rinacque a nuova vita fino a quando nel 1266 Carlo d’Angiò per le eccessive tassazioni, spinse il popolo a non impiantare più vigne.

Con gli Aragonesi e successivamente con gli Spagnoli, l’agricoltura e la coltura della vite si svilupparono enormemente; ma è dal 1773 che la produzione del vino in Sicilia registra un vero e proprio “boom” grazie alla commercializzazione su scala industriale dei vini di Marsala con l’inglese Woodhouse.

Nel 1880-81 una spaventosa epidemia di Fillossera ridusse la superficie coltivata dell’Isola da 320.000 ettari a circa 175.000 ettari, causando un grave disastro economico. Fu necessario il reimpianto delle viti europee innestate sull’immune ceppo americano provenienti da un vivaio creato a Palermo apposta per fronteggiare l’emergenza.

I primi veri frutti si ebbero solo intorno al 1920, con la realizzazione di portainnesti detti “siciliani”, ma l’avvento del fascismo in Italia e la lentezza burocratica negli espropri ai proprietari latifondisti, bloccò il tanto aspettato rilancio del settore vitivinicolo.

Al termine del 2° conflitto mondiale, e più dettagliatamente nel decennio 1950-60, con il fallimento della riforma agraria molti contadini abbandonarono i campi definitivamente per trasferirsi nelle zone industriali del Nord, ma la nascita delle prime cantine sociali permise a quelli che erano rimasti, di tirarsi fuori da uno stato di povertà oramai atavico.

La creazione del Mercato Unico Comunitario nel 1970, il conseguente flusso di vini dell’Isola verso la Francia, il miglioramento delle tecniche di coltivazione con l’impiego della meccanizzazione ed una intelligente attività di riqualificazione del vino siciliano , da parte dell’Istituto Regionale della vite e del vino, ha stimolato gli entusiasmi: sono apparse nuove realtà produttive, nuove DOC e si è dato l’avvio a quello che in molti già chiamano “miracolo siciliano”.

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